Basato su una storia chiaramente vera, questo libro ci fa riflettere sugli aspetti negativi dei primi anni del ‘900 ambientati nei campi di sterminio nazisti.
Il protagonista è Movi, un ragazzino ebreo che nei primi anni del ‘900 (seconda guerra mondiale), vide diventare la sua vita preda delle barbarie di quei tempi. Egli infatti, come altri ragazzini della sua età entrarono nell’inferno di Auschwitz e vennero trasformati in Piepel: cioè ragazzi che i capo-blocco di questo campo di sterminio sceglievano per soddisfare la loro perversità sessuale. Questo nome ad Auschwitz era familiare tanto quanto "pane" e "crematorio".
Nei primi tempi Movi ebbe vari "successi", anche se con nostalgia e paura pensava ai tempi liberi, quando era un bambino come gli altri, e ai tempi futuri; furono soprattutto questi che presero piede nel suo cuore ogni volta che vedeva passare lunghe file di persone entrare in grosse camere per fare la doccia e uscire "scheletri" e gettati in fosse.
Questo ed altro portarono ad un degrado del comportamento di Movi, tanto da farlo finire dopo un po’ di tempo nel numero de Piepel decaduti e destinati ad essere barbaramente soppressi alla vita. Nella società di Auschwitz, mostruosa realtà del passato, veniva ucciso o mandato nelle camere a gas con la scusa di fare la doccia, colui che come Movi non aveva una funzione regolare alle regole indette quando si varcava la soglia del campo.
In Piepel l’orrore domina costante e ossessivo: la fine atroce cui vanno incontro gli internati, mostra a quale grado di barbarie e malvagità possa giungere una società che abbia cancellato ogni valore morale e civile.
Lo stile di questo libro è abbastanza scorrevole, con descrizioni accurate che fanno immedesimare il lettore nei luoghi e nelle situazioni.
Comunque in questa storia vengono toccate le tematiche più atroci del passato: le pene che dovevano subire queste persone, la fine che dovevano fare se non compivano il proprio lavoro e infine la totale trascuratezza di ogni valore morale, civile e soprattutto umano. Tutto ciò è reso possibile appunto dalla drammatica testimonianza di Ka-Tzetnik 135633 iniziali del nome di un campo di concentramento e il numero di matricola personale del narratore.
Vi consiglio caldamente questo libro con la raccomandazione di riflettere su questo reale passato ormai quasi dimenticato da tutti, per evitarne una possibile ricomparsa.